La mattina del mio compleanno alle 7 squillava il telefono ed erano i miei nonni che volevano farmi gli auguri.
Ho sempre vissuto troppo lontano da loro e quella telefonata era per me come un rituale. Mia nonna in primis e poi mio nonno che veniva chiamato da lei per venire al telefono. Ancora la sento la sua voce, ancora la immagino mentre appoggia la cornetta sul comodino e strilla: Raffeeee c’ è Romina al telefono.
Io dalla mia casetta calda in Svizzera magari con la neve fuori ero lì ad ascoltarli, a fantasticare di loro che vivevano in quel paesino del sud Italia che aveva solo un bar e una chiesa.
Negli anni nulla cambiava, stessa ora, stessa chiamata, lei mi parlava e nonostante io avessi 16 o 26 anni li rivedevo uguali, quello non cambiava, loro non cambiavano.
Mi sono trasferita, ho cambiato paese, cambiato città, sono andata all’università e la vita scorreva rapida, rapida e caotica e io magari mi ritrovavo in qualsiasi parte del mondo ma sapevo che alle 7 mi arrivava quella telefonata così familiare da rimettermi i piedi a terra e il cuore in pace. Essa mi riportava li, nella mia casetta calda ad immaginare i capelli lunghissimi di mia nonna intrecciati e nascosti sotto un fazzoletto e mio nonno con la sua coppola lì fuori da qualche parte forse a raccogliere i cachi o i melograni.
Oggi quel paesino è rimasto uguale, con un bar e una chiesa, la discesa per andare a casa dei miei nonni è sempre la stessa, i bambini sono ormai adulti e qualche vecchio è diventato troppo vecchio. La casa dei miei nonni è chiusa, li dove dall’alba c’erano parole, suoni, musica e odori, è rimasto il silenzio. La natura continua a riprodursi e l’albero di cachi è sempre più rigoglioso.
E nel cortile ci sono loro, queste magnifiche peonie che mia nonna trattava con tanta cura.
E oggi con loro voglio ricordami di quella telefonata che tanto mi manca.